Ready per la recensione di ready player one

Anno 2045. Il mondo è un brutto posto, l’inquinamento e la sovrappopolazione della Terra hanno rovinato tutto, rendendola un luogo grigio e decadente, una trasposizione iperbolica di un futuro che pone, però, le basi su problemi reali della nostra società. Columbus, Ohio, è praticamente il centro del mondo, questo il quadro sociale nella quale viene contestualizzato il racconto.

Ready player one basa la sua trama nel: tutti, per ‘scappare’ dalla vita reale si rifugiano in Oasis, un videogioco multiplayer online con milioni di utenti che si è evoluto a tal punto da diventare “la realtà virtuale”, connessa su scala globale, ormai rifugio quotidiano per l’intera umanità.

Quello che viene tratteggiato è il ritratto di una società che vive di dualismi estremi, dove ci sono grattacieli lussureggianti e dotati di ogni comfort e interi quartieri fatti di container e veicoli tenuti su da delle improbabili impalcature metalliche in simil torri di Babele.

In Oasis si può andare ovunque, fare qualsiasi cosa, essere chiunque. La gente va su Oasis per tutto quello che si può fare, ma ci rimane per tutto quello che si può essere. Visto lo scenario dispotico in cui versa il mondo reale, era prevedibile che chiunque avrebbe cercato conforto in quello virtuale.

Il grande problema di questo film è proprio questo, l’unico motivo per il quale si rimane a fissare lo schermo non è la trama, in quanto è un susseguirsi visto e rivisto di avvenimenti: la vita fa schifo, anche io per scappare vado su oasis, all’inizio è tutto bello poi arriva il gran cattivone di turno che, ohibò, riesce a prendere il comando di questo mondo ed,ovviamente, come ogni gran cattivo che si rispetti, lo vuole distruggere.

Il nostro eroe, però, con l’aiuto dei suoi amici riesce incredibilmente a superare le sfide del nostro caro supercattivo e salva il ‘mondo‘, ovviamente trovando amici che lo aiutano e l’amore della sua vita.

Elemento di spicco positivo è la computer grafica, dal punto di vista visivo siamo su un livello talmente alto da far sembrare le produzioni Marvel dei film di Serie B. Gli effetti visivi, il montaggio, il sonoro, non c’è nulla che non funzioni.

La mescolanza di computer grafica da videogioco e altri stili, funziona alla perfezione.

Qui, si possono annoverare diversi grandi nomi del mondo videoludico come comparse del calibro del gigante di ferro, pacman, i personaggi di overwatch, king kong e molto altro ancora

Grandi assenti, purtroppo, i franchise sotto l’ala di Disney, compresi Star Wars e gli eroi Marvel.

A conti fatti, forse ‘definitiva’ non è la parola adatta per contraddistinguere Ready Player One, ma più per una precisa intenzione dell’autore che per un fallimento. A Spielberg interessava confezionare il perfetto meccanismo di intrattenimento, non una riflessione filosofica su sogni e bisogni dell’uomo.

In sostanza credo che l’intento dell’autore sia stato quello di non condannare l’escapismo, ma umana comprensione per chi evade da una realtà priva di speranze. E se il ritorno al reale è un passaggio obbligato per il successo dell’eroe, questo non contraddice il fatto che il protagonista Wade, senza aver trascorso tonnellate di ore in Oasis, non avrebbe mai avuto una chance di salvezza.


Il videogioco e la cultura satellitare del microcosmo nerd rappresentano un sostegno e una lezione di vita. La forza trascinante di Oasis, che mira a un livello di capacità immersiva degna dei migliori videogame, è ancor più percepibile quando accostata alle scene ambientate nel mondo reale, dimesse e ordinarie, a tal punto da non sembrare girate dallo stesso regista. Se anche nella visione di
Matrix realtà e virtuale erano contrapposti e la prima era dominata da colori grigi e paesaggi desolanti, il senso attribuito al virtuale è opposto: prigione per i Wachowski, oasi e unica speranza per Spielberg.